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Lo smart working e il nostro diritto a riprogettare il lavoro


di Francesca Sanesi


Durante la pandemia, per un numero impressionante di lavoratrici e lavoratori è stata attivata una forma di lavoro agile che consentisse di proseguire la prestazione, pur dovendo permanere presso la propria abitazione.

La percezione di questa esperienza è diversa da persona a persona. Per alcuni, dopo i primi momenti di smarrimento, essa si è trasformata in una straordinaria possibilità di crescita e sperimentazione; per altri, invece, la lontananza dal luogo di lavoro e le difficoltà di gestione degli impegni sono diventati insuperabili ostacoli. Certo, il coronavirus ci ha fatti trovare in una situazione mai vissuta prima, per molti versi non immediatamente concepibile, soprattutto sul piano umano e per il carico di dolore e morte che ha portato con sé. Non è semplice, quindi, scriverne come generatrice di opportunità, senza prima rendere il giusto tributo a chi ci ha lasciato e a quanti non hanno esitato ad aiutare, anche a rischio della propria vita. Ma è anche per questo motivo che con serenità bisogna parlare del modo in cui, fortunati e salvi, abbiamo continuato a lavorare e, soprattutto, di quale forma vorremmo prendesse il nostro lavoro in futuro.

La mia Associazione Ecosistema Camerale, all’inizio del cosiddetto lockdown, ha immaginato fosse utile fare qualcosa. È una ben piccola organizzazione, composta da persone che lavorano nel Sistema delle Camere di commercio e che, pertanto, da remoto hanno continuato a rendere il servizio pubblico senza interruzioni, anche grazie alla presenza di una infrastruttura informatica e digitale avanzata ed alla circostanza che la maggior parte dei servizi che rendiamo era già di natura telematica. Nel tempo libero, dunque, ci siamo dedicati a progettare un’iniziativa semplice: la nostra forza è nella competenza delle persone che aderiscono all’Associazione e nella nostra volontà e capacità di condividere e distribuire la conoscenza. Nel tempo, infatti, abbiamo compreso che sta in questo la formula del cambiamento: essere dentro i processi, conoscerne i meccanismi, proporre la trasformazione. Non è niente di epocale o eroico, si chiama semplicemente partecipazione.

“Work Smart Work” è nata, dunque, come piattaforma sulla quale postare suggerimenti, strumenti, normativa per aiutarci vicendevolmente a rendere più semplice l’approccio a questa novità improvvisa. E anche, bisogna sottolinearlo, a sentirci meno soli. Ci ha assistito una bella startup pugliese, HR Coffee, che gratuitamente ha realizzato per noi splendidi video professionali che sintetizzavano i contenuti del nostro programma. Abbiamo raccolto l’interesse di un centinaio di persone, del settore pubblico e privato. I loro commenti e anche le critiche ci hanno fatto crescere ancora un po’ e crediamo che questo sia già un ottimo risultato.

Ne abbiamo sondato le impressioni e nel complesso l’esperienza del lavoro da casa è parsa accettabile e gestibile, se affrontata con i mezzi adeguati e assistita da un management consapevole. Non ci ha appassionato molto il tema delle definizioni: se fosse corretto o meno chiamarlo smart working non è stata la nostra priorità. Sapevamo e sappiamo che gli accordi individuali non ci sono stati, che abbiamo fatto tutto di fretta, che non c’è stato il tempo di riflettere troppo sul controllo e la performance. La pandemia ha fatto precipitare le cose e questi tre mesi sono passati con gli occhi sugli schermi e l’unico obiettivo di non perdere un minuto e di raggiungere i risultati.

Ora, però, c’è da ragionare. Se il Mondo dopo il virus non può essere lo stesso, neanche il lavoro può tornare allo status quo ante. Siamo in grado, invece, di fare un passo avanti? Le ingiuste critiche di quanti pensano che questa forma di lavoro consenta, in effetti, una eterna vacanza particolarmente ai dipendenti pubblici devono essere rinviate al mittente. Le distorsioni esistono ovunque e questa retorica stantia nega solo il progresso che c’è stato e ancora più potrebbe esserci in termini di crescita delle competenze, di rinnovamento delle Organizzazioni, di miglioramento dell’equilibrio vita – lavoro, di minor impatto ambientale e, sì, di produttività. Quanti pensano che in ambito pubblico operino solo parassiti e scansafatiche in attesa di timbrare l’uscita, sono gli stessi che ostacolano una positiva trasformazione del lavoro. Bisogna letteralmente demolire questa mentalità diffusa e umiliante del lavoro altrui e per fortuna una larga parte della Pubblica Amministrazione dimostra ogni giorno di saper portare un’enorme e imprescindibile valore al Paese.

Agire in difesa non ci sta più bene e il diritto allo smart working, ben pensato, costruito a partire dalle esigenze dell’utenza, lungimirante perché collegato ad obiettivi di lungo periodo, non è più rinunciabile.

Commenti

  1. Leggo tante dichiarazioni di principio, alcune condivisibili altre discutibili, ma vorrei leggere casi concreti analizzati nei pro e nei contro (contro che su Ecosistema camerale non hanno cittadinanza: il passaggio da un contratto collettivo a una contrattazione individuale ancora non normata; la solitudine del lavoratore/trice e la riduzione delle reti sociali tipiche del lavorare insieme).
    Aspetto la concretezza.

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