di Michele Silletti (@MicheleSilletti)
Ne sentiamo parlare spesso, noi digitalizzatori, noi che lavoriamo quotidianamente con processi nati nell'era analogica e (quasi) mai realmente riprogettati in digitale, piuttosto camuffati, magari con una bella scansione ottica.
Ma la digitalizzazione dei processi è un'altra cosa, la ritengo una chiave di volta, una evoluzione strategica e necessaria per un reale incremento della produttività di qualunque organizzazione, pubblica o privata.
Seguiamo il fil rouge.
Digitalizzare i processi nella Pubblica Amministrazione significa acquisire informazioni, tramite procedimenti amministrativi, che diventano patrimonio informativo della PA, e quindi di tutti noi. Il patrimonio informativo è un valore, è ricchezza. Un patrimonio informativo digitalizzato è ricchezza disponibile, fruibile, collegabile, integrabile con altri patrimoni informativi.
I valori più facilmente percepibili da questa società dell'informazione sono diversi: qualcuno dirà "trasparenza", altri porranno l'accento sulla quantità e qualità delle informazioni e quindi dei dati, sull'ausilio alle scelte politiche e gestionali, nonché amministrative. Potrei continuare all'infinito ma azzardo una conclusione. Il valore più importante ritengo sia il tempo.
Avere le informazioni più rispondenti alle mie esigenze significa avere elementi per fare una scelta probabilmente più razionale ed efficace. Garantire qualità e quantità di informazioni è, quindi, una funzione essenziale per una Società dell'informazione.
La diffusione del "world wide web" oggi ha risolto, credo di poter dire definitivamente, la possibilità e facilità di accesso all'informazione. Una situazione ottimale che fa spostare l'attenzione, però, sull'attendibilità e qualità.
Tutto questo si ottiene, secondo me, con una parola magica: semplificare.
Nell'ambito dei procedimenti amministrativi (fonte primaria, essenziale del patrimonio informativo delle PA) di semplificazione ne sentiamo parlare da tempo, è una parola quasi inflazionata.
E' stata tradotta in "rendere meno complessa" la procedura. Si è pensato che trasformare una procedura analogica in digitale fosse, di per sé, una semplificazione. Ci abbiamo provato, in tanti settori, ma possiamo serenamente dire che così non è. Usare nuovi strumenti non modifica minimamente la percezione, e la sostanza, di un processo oggettivamente complesso.
Successivamente si è tentata la strada dell'unificazione: unisco più procedure connesse in una unica; diminuisco il numero di comunicazioni, interazioni ma anche questa "semplificazione" non ha raggiunto i risultati attesi. Anche perché spesso l'unione di più processi genera una procedura addirittura più complicata.
Qual è la reale semplificazione? Evitare processi inutili, rendere automatica e propagare l'acquisizione di informazioni già esistenti, già fornite. Progettare i servizi per fare in modo che la persona eviti di rifare (e fornire) innumerevoli volte le stesse informazioni (il sottoscritto, nome e cognome, nato a, residente a... l'avremo scritto migliaia di volte nella nostra vita). Questo significa autenticarsi in maniera digitale, avere patrimoni informativi che scambino tra di loro le informazioni comuni e aggiornate disponibili sui registri o archivi ufficiali.
Il risultato è tempo: il tempo che la persona non spreca nello scrivere o digitare, comunicare, confermare, informazioni già fornite; il tempo che le autorità responsabili evitano di impiegare nel confronto, nel controllo di quanto dichiarato (dimenticavo, anche l'autocertificazione è uno strumento che, nella sostanza, ha fallito il proprio intento). Il tempo in cui i patrimoni informativi si aggiornano evitando procedure, asincrone, di aggiornamento manuale. Semplifichiamo, riappropriamoci del tempo, lasciamo fare alle macchine i lavori da macchine.
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