di Francesca Sanesi
Il gender gap mi
preoccupa, ne scrivo spesso.
Vedo poca
evoluzione in questo senso, vedo prevalentemente uomini al potere e al comando,
che si esprimono esattamente da uomini, con un linguaggio che non mi appartiene
e, anche indirettamente, mi mortifica in quanto donna. La necessaria diversità, che arricchisce, mi sembra, al contrario, si stia
stemperando nell’accettazione generale di un modo di essere e parlare che
svilisce il pensiero plurale e lo trasforma in un pensiero a dir poco dimezzato e che non mi rappresenta.
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Acquarello di Grazia Salierno |
Chiedo aiuto alla
statistica, come sempre, non fidandomi pienamente del mio sentimento.
Secondo l’ultimo
Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile rilasciato da Istat il 18 dicembre
scorso, nonostante i diversi progressi conseguiti a partire dal 2013 nella
presenza di donne in Parlamento, nei consigli regionali (in questo caso,
comunque, molto lenti) e nei consigli di amministrazione delle società quotate
in borsa, il nostro Paese resta lontano “dal raggiungere la Gender Balance
Zone, cioè la percentuale di donne elette compresa tra il 40% e il 60%, soglia
raggiunta dai Paesi Scandinavi, ma anche in Francia e Spagna grazie alla
significativa presenza di donne tra gli eletti al Parlamento Europeo”.
(Devo dire che mi ha colpito il video “Dietro le quinte del BES” che Istat ha rilasciato per promuovere la presentazione del nuovo Rapporto. Parlano alcuni dei ricercatori che lavorano a questo straordinario progetto: sono tutte donne. Non so se sia stata una scelta consapevole o meno, ma è bella).
Il secondo dato riguarda l’intelligenza artificiale, new entry nel Report del WEF che si preoccupa di monitorare, con l’aiuto di LinkedIn, l’impatto sui divari economici di genere determinato dai cambiamenti prodotti dall’espansione di nuove tecnologie e dalla divisione del lavoro fra uomo e macchina. In particolare, si valutano gli effetti dell’Intelligenza artificiale quale driver principale delle trasformazioni portate dalla Quarta Rivoluzione Industriale. Il dato, insomma: solo il 22% dei professionisti di intelligenza artificiale a livello globale sono donne, rispetto al 78% che sono maschi. Ne deriva un divario di genere del 72%, ancora da chiudere. In Italia il gap è pari al 61%: le professioniste dell’IA sono il 28%.
Solo qualche altro numero. Amnesty International ha condotto uno studio con Element AI, analizzando milioni di tweet ricevuti da 778 giornaliste e politiche dal Regno Unito e dagli Stati Uniti per tutto il 2017, professioniste con punti di vista differenti. Il 7,1% dei tweet inviati alle donne, secondo lo studio, era "problematico” o "offensivo" (traduco così “abusive”, ma potrebbe anche essere “violento”) . Ciò equivale a 1,1 milioni di tweet che menzionavano queste donne durante l'anno, uno ogni 30 secondi. Insulti trasversali, di destra e di sinistra (lievemente superiori gli insulti verso le donne di sinistra), in percentuale significativamente più elevata verso le donne nere.
Non ci sono dati riferiti al nostro Paese, ma in questo ci aiuta la mappa redatta per il terzo anno consecutivo dall’Osservatorio dei Diritti Vox, che evidenzia come, pur in maniera contenuta rispetto ad altre categorie, sia cresciuto l’odio via Twitter contro le donne, passando dai 284.634 tweet negativi registrati nel 2016, ai 326.040 del periodo 2017/ 2018. Le donne restano, quindi, la categoria più colpita via twitter dagli haters, gli infimi odiatori seriali che trascorrono il loro inutile tempo a insultare. Pare sia gratificante l’odio per queste persone che chiaramente non sanno quanto, invece, siano gratificanti l’amore e il rispetto. Basta aprire Twitter per capirlo. Io spesso trascorro il tempo segnalando, con risultati, devo dire con amarezza, di pochissimo conto.
Da ragazzina, mentre frequentavo il liceo, ho letto un piccolo libro di Eva Cantarella intitolato “Tacita Muta”. La straordinaria storica e giurista, nel 1985, dedicava il suo saggio alla dea Lara, ridotta al silenzio da Giove quando era una ninfa garrula, e stuprata da Mercurio (ne nacquero i Lari), e la prendeva ad emblema della condizione femminile nella Roma arcaica: una storia di silenzio.
Ridurre le donne al silenzio.
Facciamo continui ma davvero lentissimi passi in avanti. Io proverei a parlare ed agire di più, almeno per non sentirmi dire, come spesso accade, che il bias me lo creo da sola.
(La foto è di un bellissimo acquarello di Grazia Salierno
intitolato “Non ricordo neppure da cosa stessi fuggendo, quando sono giunto qui”)
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