Passa ai contenuti principali

La storia non ci lascerà in pace


di Francesca Sanesi


In un articolo del 3 luglio 2018, intitolato “In difesa della storia”, Luca De Biase argomenta in modo straordinario quanto “in questo presente tanto presente” una apologia della storia sia più che mai necessaria. Suggerisco di leggerlo a chi sia sfuggito, perché è raro oggi, fuori dagli ambiti accademici, sentir parlare di Marc Bloch e riportare alla luce le splendide e moderne intuizioni dello storico francese, fondatore nel 1929, insieme a Lucien Febvre, delle Annales d’historie économique et social, membro della Resistenza, arrestato, torturato e fucilato dai nazisti nel 1944. Almeno io, che ho lasciato l’Università con una laurea in Storia contemporanea un paio di decenni fa, avevo perso le tracce di ogni richiamo non solo all’opera complessiva di Bloch e alla sua influenza sul metodo storico, ma anche a quel libretto “Apologie pour l'histoire ou Métier d'historien” pubblicato postumo e incompleto dall’amico Febvre (io ne ho letto l’edizione di Einaudi del 1991) e poi arricchito da nuovi manoscritti nella versione curata dal figlio di Bloch nel 1993.
Dunque, diceva il nostro: “Ogni volta che le nostre tristi società, in perpetua crisi di sviluppo, prendono a dubitare di se stesse, paiono domandarsi se abbiano avuto ragione di interrogare il loro passato, o se l’abbiano interrogato bene” e trovo questa visione illuminante, anche senza addentrarci nella integrale complessità del testo di Bloch. Nella mia formazione l’Apologia della storia ha rappresentato l’imprinting: a che serve la storia, le fonti, la collaborazione fra discipline diverse, la storia sociale e quella economica. E mentre ne scrivo, osservo il desolante spettacolo dell’oblio, della distorsione delle fonti, della strumentalizzazione dei fatti del passato, ridotti ad aneddoti, a episodi, a celebrazione di “giornate”.
E pochi sono quelli che la nostra storia contemporanea, ad esempio, l’hanno vissuta e possono ancora raccontarla. Questo passaggio è, a mio avviso, essenziale. Se dal lato accademico vi è di certo una grande attività di ricerca e l’amore per le fonti fortunatamente non scema, chi assicura che giungano fra di noi la coscienza storica e l’idea che una scrupolosa ricerca documentale sia utile all’interpretazione dei fenomeni? Chi garantisce la mediazione fra il lavoro degli storici e la collettività che deve ricordare? A quel che vedo, sento, leggo, oggi questo ruolo lo mantengono ancora pochi, pochissimi. In Italia perfino nella scuola, come ricordava Emilio Gentile in un pezzo su Domenica del Sole 24 Ore del 10 febbraio scorso, citando Giuseppe Galasso, la storia “non è più ritenuta una materia essenziale per la formazione, oltre che per l’istruzione, dei giovani che formeranno le future classi dirigenti del Paese”.
Ora noi, come giustamente sottolinea De Biase nel pezzo citato, siamo ossessionati dal presente e io dico anche dall’immediatezza della reazione, tanto da dimenticare persino che, prima di mettere un like, servirebbe leggere il contenuto di una notizia (si chiama clickbait il meccanismo e dovremmo finalmente renderci conto che è una dinamica pubblicitaria che non ha niente a che vedere con l’informazione e men che meno con la conoscenza). E servirebbe pure, come esercizio di libertà, verificare le fonti, cosa che tendiamo a delegare ai fact checker e ai debunker e che, invece, a mio giudizio, potremmo addirittura far da soli se, ad esempio, avessimo studiato un po’ di storia e di metodo storico. Ossessionati dal presente e dalla presenza, ma anche dal futuro che però, il più delle volte, è una costruzione immaginaria e decisamente priva di fondamenta, soprattutto se lo prevediamo con i miseri strumenti della paura.
“Certamente, in un mondo che ha appena affrontato la chimica dell’atomo – scriveva Bloch - e comincia appena a scandagliare il segreto degli spazi stellari, nel nostro povero mondo che, giustamente fiero della sua scienza, non arriva però a crearsi un po’ di felicità, le piccole minuzie dell’erudizione storica, capacissime di divorare tutta un’esistenza, meriterebbero di essere condannate come uno scialo di forze assurdo al punto da essere criminale, se non dovessero riuscire ad altro che a rivestire d’un po’ di verità uno dei nostri svaghi”. Non è difficile attribuire attualità a questo pensiero, con tale modestia e umiltà espresso da uno dei principali storici del secolo scorso. Egli intendeva dimostrare che dopo le grandi scoperte scientifiche, come la meccanica einsteiniana e la teoria dei quanti, la “conoscenza, anche se si rivela incapace di dimostrazioni euclidee o di immutabili leggi di ripetizione [può] comunque pretendere il nome di scientifica", e dunque anche la storia in quanto scienza umana. Questo dilemma oggi appare rinnovato e sarebbe “utile” non solo che storici e storiche si dedicassero al rapporto fra scienze umane e trasformazione digitale, ma anche che noi ci chiedessimo se siamo abbastanza attrezzati per avere timore o fiducia nel futuro, per sostenere, insomma, consapevolmente l’una o l’altra tesi. Io, negli ultimi anni del mio percorso universitario, mi sono dedicata alla storia dell’industria e a quella delle innovazioni tecnologiche e devo dire che, per quanto sia spesso stupita dalla rapidità dell’innovazione, credo che quella mia formazione e il mio approccio “da storica” al digitale mi mettano al riparo da (quasi) ogni angoscia.
Dovesse anche la storia essere eternamente indifferente all’homo faber o politicus, basterebbe, a sua difesa, esser riconosciuta come necessaria al pieno dispiegarsi dell’homo sapiens” (sempre Bloch). L’homo sapiens dal quale con tanta difficoltà oggi riconosciamo di discendere, considerate le performance di certuni e l’uso che molti fanno del proprio intelletto…

George Huppert, nel suo “Storia e scienze sociali: Bloch, Febvre e le prime Annales”*, ricordava un editoriale di Febvre del 1946: “Non c’è tempo da perdere. Subito al lavoro, storici. Il mondo incombe su di voi […]. Non c’è scampo. Non vi lasceranno in pace. Gli inglesi, gli americani, i russi, i libanesi, i siriani, gli arabi, i portuali di Dakar, i ragazzi di Saigon: non vi lasceranno in pace. Il mondo di ieri è finito. Per sempre”. Scriveva subito dopo il secondo conflitto mondiale, nelle macerie di un mondo da ricostruire, per mettere la storia al servizio del genere umano.
Scaviamo anche noi fra le macerie immateriali del nostro Paese e mettiamoci al lavoro, storici e non.


*in Il Mondo Contemporaneo, vol. X “Gli strumenti della ricerca. Questioni di metodo”, tomo 2, a cura di Giovanni De Luna et al., La Nuova Italia, 1983.

Commenti

Post popolari in questo blog

Il futuro non aspettò. Riflessioni sullo smart working

di Michele Silletti ( @MicheleSilletti ) Quando si è nel mezzo di una tempesta, gli ottimisti cercano con lo sguardo la via d’uscita, gli altri si aggrappano per non essere spazzati via, magari anche guardandosi indietro, rimpiangendo la calma precedente. Nel pieno del “lockdown” lo sguardo è ovviamente già sul dopo, su quello che l’emergenza Covid-19 avrà lasciato, sul come ripartire, sul cosa prendere di buono da questa esperienza vissuta. L’emergenza ha avuto un impatto inevitabile sulla vita quotidiana, spazzando via certezze e abitudini, costringendoci a modificare, nostro malgrado, stile di vita e quindi di lavoro. In pochi giorni nazioni intere si sono dovute organizzare per svolgere le proprie attività in una modalità diversa. E’ inutile parlare di lavoro agile o smart working (o di smart schooling) e di arrotolarsi sulla definizione più corretta, forse, di telelavoro forzato; sembrerebbe un esercizio di stile su una situazione che tutti, auspichiamo, duri il minor te

I numeri sono importanti!

di Michele Silletti ( @MicheleSilletti ) Una trentina di anni fa questa affermazione, riferita alle "parole", ha lasciato un segno importante nella cinematografia italiana e nel modo di parlare; un invito a porre attenzione e utilizzare adeguatamente la ricchezza della nostra lingua. Da statistico, appassionato di ricerca e analisi ho voluto riutilizzarne il significato. Forest of numbers di Emmanuelle Moureaux (fonte: https://www.domusweb.it/it/notizie/2017/02/09/forest_of_numbers.html) Evito di partire dagli inizi e quindi non dirò, di certo " Il calcolo accurato è la porta d'accesso alla conoscenza di tutte le cose e agli oscuri misteri"  [il papiro di Rhind],   ma la sostanza è quella.  Vivendo l'era di internet, dell'accesso a infinite fonti informative, il faro va acceso sulla qualità e attendibilità delle fonti. Da alcuni anni si è sviluppato un acceso dibattito "social" (ma non solo) sulle fake-news; certo, parliamo di co

Appunti sul tempo

di Francesca Sanesi Qualche anno fa discutevo con un amico del senso del tempo. Siccome ho una formazione classica, ho l’insopportabile abitudine di citare e in quell’occasione rispolverai niente meno che Bachtin (nonostante parlassimo di politica e non ricordo, dunque, il perché di questo azzardato accostamento), recuperando alcune considerazioni sul cronotopo in letteratura da “Estetica e Romanzo”. Diceva Bachtin: “ Tutta l’azione del romanzo greco, quindi, tutti gli avvenimenti e tutte le avventure che lo riempiono non rientrano nella serie temporale storica, né in quella quotidiana, né in quella biografica, né in quella dell’età biologica elementare. (…) In questo tempo nulla muta: il mondo resta così com’era, biograficamente neppure la vita dei protagonisti muta, i loro sentimenti restano anch’essi immutati, e le persone in tale tempo non invecchiano neppure. Questo tempo vuoto non lascia alcuna traccia, alcun connotato duraturo del proprio fluire. È (…) uno iato extra