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Responsabilità di cura e gender gap: sul lavoro femminile entriamo nel XXI secolo!


di Francesca Sanesi

I dati suggeriscono che il divario di genere aumenta quando le donne hanno a casa bambini piccoli.

È una delle conclusioni del Sustainable Development Goals Report 2019 con riguardo agli avanzamenti dell’obiettivo 5 di Agenda 2030 nel Mondo. In Italia, secondo la Rilevazione sulle forze di lavoro di Istat, il tasso di occupazione delle donne madri di 25-49 anni con figli da 0 a 2 anni arretra fra il 2008 e il 2018 dal 54,9 per cento al 53,1 per cento, dal 61,2 per cento al 55,3 per cento per le madri sole (per inciso, dal 35,6 per cento al 33,7 per cento nel Mezzogiorno). Se è vero che il mercato del lavoro è complessivamente in crisi - e, sempre per inciso, nel periodo 2008 – 2018 si è ampliato il divario territoriale, per cui il saldo degli occupati al Sud è negativo (-4,0 per cento sempre secondo Istat) -, la questione femminile su accennata lascia perplessi e deve continuare ad allarmare.

Il Parlamento Europeo elegge von der Leyen Presidente della Commissione: è la prima donna a ricoprire questo ruolo, resterà nella Storia ed è un traguardo del quale bisogna essere fiere, bisogna indicarla come modello. Nella sua agenda per l’Europa ha anticipato che sarà sistematicamente affrontato “il modo in cui le leggi influenzano le decisioni che le donne prendono durante la loro vita: iniziare un lavoro, gestire un'impresa, essere pagate, sposarsi, avere figli, gestire beni e percepire una pensione. Dobbiamo dare alle donne e agli uomini uguali diritti legali in tutte queste decisioni sulla vita”.

Intanto, infatti, secondo Eurostat (Sustainable development in the European Union — Monitoring report on progress towards the SDGs in an EU context — 2019 edition) nel 2018 nell’Unione Europea il divario di genere (a favore degli uomini) per l’inattività dovuta alle responsabilità di cura era pari al 27,1 per cento (era il 23,7 per cento nel 2006). Le donne comuni, le donne del Sud, la maggioranza di noi.


La Commissione Europea, nella Comunicazione “Un'iniziativa per sostenere l'equilibrio tra attività professionale e vita familiare di genitori e prestatori di assistenza che lavorano” (2017) rileva che: “L'inadeguatezza delle misure volte a conciliare l'attività professionale e le responsabilità di assistenza tende a incidere in maniera sproporzionata sulle donne. [...] molte donne sono spinte ad abbandonare il mercato del lavoro o a ridurre il proprio orario di lavoro. Nell'UE in media è molto più probabile che siano le donne a ricorrere al lavoro a tempo parziale rispetto agli uomini”. La condizione di svantaggio crescente determinata dal maggior impegno nella cura della casa, dei bambini, degli anziani non è una caratteristica esclusiva del genere femminile, ma tutti i report sin qui citati evidenziano che sono le donne a subirne i principali effetti, nel mondo, in Europa, nel nostro Paese. 

Uno svantaggio crescente in termini economici, in quanto ne discendono inattività o disoccupazione, quindi minore capacità di addivenire ad una indipendenza economica che per le donne – come anche per gli uomini – è sinonimo di dignità, e minor tempo da dedicare all’istruzione e alla formazione, con un conseguente ampliamento del gap di competenze. Uno svantaggio di natura sociale e tendenzialmente psicologica, dal momento che è spesso necessario rinunciare al tempo per se stesse e allo svago.

Dunque, il punto è proprio prendere decisioni, liberamente. Ad esempio, qualora si desideri diventare madri, sapere che questo non ci obbligherà a rinunciare al resto che ci rende felici. 
Quattro suggerimenti, allora, soprattutto per il nostro Mezzogiorno.

Per la politica: spingere in modo significativo su congedi e assistenza. Insomma, rendere le genitorialità più semplice, sempre meno costosa, non foriera di scelte obbligate di rinuncia al lavoro.

Per le imprese: porsi la riduzione del gender gap quale obiettivo di beneficio verso le proprie dipendenti e verso la società e operare le modifiche nell’organizzazione del lavoro utili a favorire la serenità nel rientro e nella cura dei figli. È il momento per il business di usare altre lenti per osservare la realtà e utilizzare il profitto.

Per la Pubblica Amministrazione: idem con intensità superiore, fra l’altro riducendo, in tal modo, anche i tassi di assenza. Smart working, ad esempio, applicato al massimo.

Per le comunità: attuare la solidarietà, con iniziative di sostegno e di formazione, creando reti sociali che non lascino scivolare nessuna dalle proprie maglie. Diamoci una mano fra noi e sollecitiamo anche gli altri attori del mercato.

Trasversalmente: la trasformazione digitale dischiude nuove opportunità per dar corso ad un ripensamento complessivo del lavoro, e di quello femminile in particolare, e di quello delle giovani madri ancor più nel dettaglio. Tutti ci dobbiamo preoccupare di chiudere quella insostenibile forbice che si chiama divario di genere. 

Si può entrare nel XXI secolo, facciamocene una ragione.

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