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Overshoot Day anticipato: come invertire la tendenza?


di Francesca Sanesi

If the present growth trends in world population, industrialization, pollution, food production, and resource depletion continue unchanged, the limits to growth on this planet will be reached sometime within the next one hundred years. It is possible to alter these growth trends and to establish a condition of ecological and economic stability that is sustainable far into the future.

È una delle conclusioni cui giungeva, nel 1972, il gruppo di ricercatori (Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jorgen Randers William W. Behrens III) del Massachusetts Institute of Technology che, per il Club di Roma, avevano scritto “The limits to growth”, libro che produsse subito un enorme dibattito - come gli autori auspicavano accadesse – ma anche moltissime, pesanti critiche.  Fra le altre cose, la possibilità che la Terra non fosse in grado di rigenerare le risorse sfruttate dal genere umano per le sue diverse necessità - e che, quindi, ci stessimo avviando verso il disastro - fu, infatti, rigettata da molti, adducendo anche il progresso tecnologico come argine a tale ipotesi.

Trent’anni dopo, lo studio del MIT fu aggiornato – tenendo in considerazione anche il progresso sul fronte delle tecnologie - e ancora, sulla base di una serie di evidenze statistiche, vi si affermava: “These are symptoms of a world in overshoot, where we are drawing on the world’s resources faster than they can be restored, and we are releasing wastes and pollutants faster than the Earth can absorb them or render them harmless.”, dove l’overshoot significa “andare troppo lontano, crescere così rapidamente che i limiti vengono superati”. Quando questo si verifica, si inducono stress che iniziano a rallentare e fermare la crescita. Fra le altre fonti, gli autori citavano l’Ecological Footprint, una nuova modalità di misurazione della domanda e dell’offerta della natura sviluppata all’inizio degli anni Novanta da Mathis Wackernagel e William Rees nell’ambito del dottorato di ricerca che Wackernagel stava conducendo presso l’Università della British Columbia.

Oggi il Global FootprintNetwork, organizzazione di ricerca fondata proprio da Wackernagel, è ampiamente conosciuto perché ogni anno rende noto il giorno in cui le risorse della Terra si esauriscono e cominciamo ad estrarre e utilizzare a debito. Si chiama EarthOvershoot Day, nel 2019 è arrivato il 29 luglio, mai così in anticipo. E da bravi consumisti, abituati a fare il passo più lungo della gamba, il giorno dopo abbiamo probabilmente già dimenticato l’agghiacciante notizia secondo la quale se tutti nel Mondo vivessero come noi italiani, l’EOD sarebbe arrivato il 15 maggio e servirebbero non uno ma 2,7 Pianeti. Il che ci rende più virtuosi di altri Paesi, ma ugualmente resta impossibile. Non c’è un altro Pianeta Terra e le risorse non sono infinite, come ogni cosa in natura.  La biocapacità, la capacità di un ecosistema di rinnovarsi, ha un limite.



Ciò pone a Governi, imprese e persone un problema che non è esclusivamente etico, bensì sociale ed economico. Per questo motivo è imponente la mobilitazione internazionale riguardo allo sviluppo sostenibile nelle sue diverse declinazioni, dall’emergenza climatica alle disuguaglianze. Ne è esempio Agenda 2030, documento nel quale gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno definito 17 sustainable development goal da raggiungere globalmente e a livello di singoli Paesi. Gli obiettivi sono stati sottoscritti nel 2015, ma il Segretario generale Guterres, nella sua relazione che anticipava l’High Level Political Forum del luglio scorso, ha evidenziato che, nonostante alcuni miglioramenti, senza un impegno più intenso e ambizioso Agenda 2030 fallirà.

Se i grandi convegni mondiali ci appaiono lontani e non ne comprendiamo appieno gli esiti, il progressivo anticipo dell’Overshoot Day può, invece, darci un segnale più vicino alla nostra vita di tutti i giorni. Sottolinea Wackernagel nel suo ultimo libro, scritto con Bert Beyers (“Ecological Footprint: Managing Our Biocapacity Budget”): The parallels between economy and ecology goes beyond their names. In both domains, mismanagement is characterized by spending more than you earn” . Appare semplice ma l’evidenza è che nonostante l’attenzione internazionale, i dati dimostrano che il nostro Pianeta è in pericolo e ciò dovrebbe spingere all’azione gli Stati, singolarmente e attraverso la cooperazione internazionale, noi cittadini e le imprese. 

Sull’argomento ho chiesto un’opinione all’on. Mauro Del Barba, grazie al quale l’Italia, primo Paese nel Mondo dopo gli Stati Uniti, ha adottato una legge sulle Società Benefit, e che oggi presiede Assobenefit, associazione di rappresentanza di questa forma d’impresa e di  promozione di un ecosistema benefit italiano. Nella Dichiarazione di Lussemburgo, documento conclusivo dell’Assemblea Parlamentare di OSCE del luglio scorso, Del Barba ha peraltro ottenuto l’inserimento di due raccomandazioni ai Parlamenti dei 57 Stati membri: introdurre una legislazione specifica sulle società benefit (già molti Paesi in Europa e nel Mondo seguono l’esempio italiano) e  promuovere metriche per la misurazione dell’impatto delle azioni imprenditoriali a favore della sostenibilità. Il coordinamento parlamentare è essenziale, ma non sta lì la soluzione: “La gente mediamente non è informata. Se giriamo il Mondo, in Paesi meno sviluppati del nostro comprendiamo subito che le questioni climatiche, ad esempio, sono le ultime preoccupazioni di questi popoli e dei loro governanti. Perfino in Italia il tema non ha la stessa importanza di altri come le pensioni o i migranti – risponde Del Barba. Non una sola campagna elettorale si gioca su questi argomenti. Per questo motivo non credo che le democrazie possano agire con tempestività. Ancora meno me lo aspetto da regimi autoritari.

Che fare, dunque, se non è l’azione politica la chiave per l’inversione di tendenza?
I grandi consessi politici porteranno a poco nei tempi utili. Nel frattempo dobbiamo agire e cambiare i comportamenti del sistema produttivo: l’unica soluzione è lavorare direttamente con le aziende. Se anche i governi ricevessero la spinta dai propri elettori ad intervenire con forza su questi temi, alla fine cosa potrebbero fare? Farebbero delle leggi per imporre comportamenti sostenibili alle aziende. Ma questo non potrebbe accadere per decreto istantaneamente.

Qui sta il punto: la sostenibilità non si attua per decreto. Per quanto le norme attualmente vigenti possano condurre a dei cambiamenti positivi, non diversamente da ciò che accade per noi cittadini, anche con riguardo alle attività imprenditoriali è necessario agire per modificarne il DNA (obiettivi, modalità di perseguimento, valutazione dei risultati). Del Barba, ad esempio, crede fortemente, e con lui un significativo movimento di professioniste/i, manager, imprenditrici e imprenditori, che si tratti di ritornare all’origine della missione imprenditoriale, che non può essere disgiunta dal rapporto con territori e comunità e dall’attenzione alle persone. L’impresa deve dare l’esempio e può essere trainante rispetto all’intero sistema economico per portare alla svolta nel paradigma di sviluppo del nostro Paese. Del resto la contabilità che conosciamo come Ecological Footprint serve proprio a smuovere le nostre coscienze individuali e incidere sui nostri comportamenti quotidiani.

Mettiamoci all’opera – conclude Del Barba - prima che qualche politico improvvisato, spinto da qualche elezione emotiva, possa pensare di aver capito cosa sia sostenibile e ce lo scriva come una ricetta dal dottore.

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