Passa ai contenuti principali

Rivoluzionare la PA


di Michele Silletti (@MicheleSilletti) 


La parola “burocrazia” è un termine associato, in maniera ormai insanabile, ad una valutazione negativa. Il motivo di questa delegittimazione deriva da fattori storici e sociali abbastanza consolidati, per quanto basata su percezioni che non sono sempre rispondenti al vero. 
Uno degli studi più recenti sul fenomeno è stato pubblicato pochi mesi fa da The European House – Ambrosetti.

E’ una ricerca che consiglio di leggere, non solo a chi lavora all’interno della Pubblica Amministrazione (il 5 % della popolazione italiana, circa) per quanto alcune valutazioni e soluzioni potrebbero sembrare non condivisibili.
Perché l’argomento è interessante? Perché lo strumento di funzionamento dello Stato (ecco, una definizione appropriata di burocrazia) può avere un’incidenza elevatissima sulla crescita, sul rilancio dell’economia italiana.
Spesso mi ritrovo a sottolineare il valore del patrimonio informativo della PA, conseguenza diretta del suo funzionamento. Sembra un fenomeno quasi incredibile, una macchina che crea risorse funzionando, tendenzialmente autosufficiente. Questo è il punto di arrivo, l’ideale da raggiungere. Un traguardo ambizioso da perseguire tramite una vera e propria rivoluzione della PA. 

Questa ricerca ha quantificato i costi che oggi le imprese italiane devono dedicare al dialogo con la PA: 57 miliardi di euro annui, il 3,3% del Prodotto Interno Lordo! E per la gestione di questi adempimenti dedicano quasi un dipendente a tempo pieno (il 75% delle ore lavorative un dipendente!). Migliorare, rendere efficiente il dialogo con lo Stato genererebbe, quindi, un risparmio di risorse economiche e lavorative da investire altrove.
Ambiti di miglioramento ce ne sono tantissimi, alcuni realizzabili abbastanza facilmente, con una strategia di coesione istituzionale, altri con investimenti in competenze, tecnologia e, soprattutto riforme.

Anzitutto, però, occorre sgomberare il campo dai falsi miti e dicerie: la PA italiana non è un apparato mastodontico, non ha dimensioni eccessive né un numero di dipendenti superiore alla media dei paesi europei. Ha 5,3 dipendenti ogni 100 abitanti, la metà della Francia, lontanissima dalla Danimarca (12,5). E non ha neanche dei costi di funzionamento eccessivi, anzi, col 19,8% della spesa totale del settore pubblico è addirittura penultima in UE. 
Quindi i principali luoghi comuni sono facilmente smentiti dai numeri. Inoltre la PA italiana detiene alcuni primati in tema di trasformazione digitale (un testo unico sull'amministrazione digitale tutt'ora all'avanguardia, strumenti innovativi sulla certificazione digitale, la fatturazione e i pagamenti elettronici, giusto per citarne alcuni). Diversi indicatori, quindi, evidenziano una situazione non così drammatica come spesso si vuol far credere:


fonte The European House  - Ambrosetti (2019)


I problemi del Settore Pubblico, probabilmente, sono altri ed essendo il datore di lavoro del 20% dei lavoratori totali impiegati nel nostro paese e generando il 16% del valore aggiunto della nostra economia, diventano problemi di tutti, incidono in maniera rilevante sul funzionamento dell'azienda Italia. 

Bisogna anzitutto evidenziare un problema sociale, strutturale: il nostro paese non è particolarmente predisposto all'evoluzione del dialogo e della fruizione dei servizi in maniera "digitale" visto che con una disponibilità di servizi pubblici praticamente allineati alla media europea, solo il 19% dei cittadini li utilizza. Siamo ad una distanza siderale dai "primi della classe" islandesi e svedesi, che arrivano all'80%! E questo non riguarda solo la fruizione del servizio pubblico: internet è utilizzato, in Italia, dal 61% della popolazione contro il 94,6% del Regno Unito. La nostra nazione è al quart'ultimo posto nel DESI (Digital Economy and Society Index) della Comunità Europea nel 2019.

Poi però ci sono i veri problemi della Pubblica Amministrazione, quelli interni: quasi 11mila unità istituzionali (enti, organizzazioni pubbliche dotate di autonomia) testimoniano una complessità e frammentazione della macchina pubblica non facilmente gestibile, non solo nella garanzia degli standard di servizio offerto, ma anche nella capacità di dialogo e interazione tra le articolazioni stesse dello Stato. A questo possiamo aggiungere una scarsa chiarezza nelle ripartizioni delle competenze e relative responsabilità (e il numero di conflitti Stato-Regioni ne sono la prova più evidente) e una situazione del personale pubblico a dir poco disastrosa. Penultimi in Europa per età media, bassa scolarizzazione, demotivazione, meccanismi di accesso rigidi, turn-over quasi assente. L'indicatore che mi ha più sorpreso però è questo: ogni dipendente ha fruito, in media, di 1,4 giorni di formazione nel 2008 che è diventata 0,9 nel 2016. Praticamente assente l'aggiornamento professionale e delle competenze. Un altro dato eclatante: la forma più ricorrente di acquisizione delle competenze lavorative è l'autoapprendimento per il 49% dei lavoratori del settore pubblico. La motivazione del dipendente pubblico è prossima allo zero a fronte di complessi meccanismi e formalismi nella valutazione delle performances che magicamente raggiungono punteggi "eccezionali" e incomprensibili nel contesto in cui vengono attuate.

Non da meno la complessità normativa: in Italia sono in vigore ben 160.000 norme, di cui 70.000 di fonte centrale, a volte anacronistiche, non coordinate o addirittura contraddittorie. 

Per questo l'unica via d'uscita è una vera rivoluzione della PA con tre linee di azione: 
  • una riforma complessiva delle norme con la raccolta in Testi Unici degli elementi fondamentali per il funzionamento dello Stato; 
  • un piano di riqualificazione professionale e di acquisizione delle competenze significativo qualitativamente e quantitativamente;
  • la digitalizzazione dei processi operativi e dei modelli organizzativi (e non, solo, la trasformazione digitale dei processi analogici) con le infrastrutture adeguate.
Ognuno di questi ambiti è toccato da decenni da riforme o tentativi di semplificazione. Per questo parlo di "rivoluzione", la riforma in senso stretto non basta. Serve un momento di coesione istituzionale che aiuti lo Stato a ripensare, strutturalmente, al suo funzionamento. Serve dar vita e alimentare quella logica di "ecosistema", di contaminazione tra persone che a vario titolo si sentano partecipi, a prescindere dai ruoli, schieramenti e personalismi.

Commenti

Post popolari in questo blog

Il futuro non aspettò. Riflessioni sullo smart working

di Michele Silletti ( @MicheleSilletti ) Quando si è nel mezzo di una tempesta, gli ottimisti cercano con lo sguardo la via d’uscita, gli altri si aggrappano per non essere spazzati via, magari anche guardandosi indietro, rimpiangendo la calma precedente. Nel pieno del “lockdown” lo sguardo è ovviamente già sul dopo, su quello che l’emergenza Covid-19 avrà lasciato, sul come ripartire, sul cosa prendere di buono da questa esperienza vissuta. L’emergenza ha avuto un impatto inevitabile sulla vita quotidiana, spazzando via certezze e abitudini, costringendoci a modificare, nostro malgrado, stile di vita e quindi di lavoro. In pochi giorni nazioni intere si sono dovute organizzare per svolgere le proprie attività in una modalità diversa. E’ inutile parlare di lavoro agile o smart working (o di smart schooling) e di arrotolarsi sulla definizione più corretta, forse, di telelavoro forzato; sembrerebbe un esercizio di stile su una situazione che tutti, auspichiamo, duri il minor te

I numeri sono importanti!

di Michele Silletti ( @MicheleSilletti ) Una trentina di anni fa questa affermazione, riferita alle "parole", ha lasciato un segno importante nella cinematografia italiana e nel modo di parlare; un invito a porre attenzione e utilizzare adeguatamente la ricchezza della nostra lingua. Da statistico, appassionato di ricerca e analisi ho voluto riutilizzarne il significato. Forest of numbers di Emmanuelle Moureaux (fonte: https://www.domusweb.it/it/notizie/2017/02/09/forest_of_numbers.html) Evito di partire dagli inizi e quindi non dirò, di certo " Il calcolo accurato è la porta d'accesso alla conoscenza di tutte le cose e agli oscuri misteri"  [il papiro di Rhind],   ma la sostanza è quella.  Vivendo l'era di internet, dell'accesso a infinite fonti informative, il faro va acceso sulla qualità e attendibilità delle fonti. Da alcuni anni si è sviluppato un acceso dibattito "social" (ma non solo) sulle fake-news; certo, parliamo di co

Lo smart working e il nostro diritto a riprogettare il lavoro

di Francesca Sanesi Durante la pandemia, per un numero impressionante di lavoratrici e lavoratori è stata attivata una forma di lavoro agile che consentisse di proseguire la prestazione, pur dovendo permanere presso la propria abitazione. La percezione di questa esperienza è diversa da persona a persona. Per alcuni, dopo i primi momenti di smarrimento, essa si è trasformata in una straordinaria possibilità di crescita e sperimentazione; per altri, invece, la lontananza dal luogo di lavoro e le difficoltà di gestione degli impegni sono diventati insuperabili ostacoli. Certo, il coronavirus ci ha fatti trovare in una situazione mai vissuta prima, per molti versi non immediatamente concepibile, soprattutto sul piano umano e per il carico di dolore e morte che ha portato con sé. Non è semplice, quindi, scriverne come generatrice di opportunità, senza prima rendere il giusto tributo a chi ci ha lasciato e a quanti non hanno esitato ad aiutare, anche a rischio della propria vita.