di Francesca Sanesi
“Per usare le parole dello scrittore Amitav Ghosh nel libro La grande cecità: «La crisi climatica [è] anche una crisi della cultura, e pertanto dell’immaginazione». Io la definirei una crisi della capacità di credere.”
Così
Jonathan Safran Foer, nelle prime pagine del suo “We are the Weather. Saving
the Planet Begins at Breakfast” (2019), ci mette subito di fronte ad una
sconcertante verità: sapere (che una crisi climatica è in atto) non comporta
necessariamente credere (che abbia o avrà conseguenze reali) e, quindi, agire
(per fare ciò che è necessario). Dice ancora Foer che “nel 2018, pur sapendo
più di quanto abbiamo mai saputo sull’origine umana dei mutamenti climatici, l’umanità
ha prodotto più gas serra che mai […]. Esistono spiegazioni dettagliate […]. Ma
la verità è tanto ovvia quanto cruda: non ce ne importa nulla.”
Sapere
e credere non si incontrano, pertanto è difficile per ognuno di noi sentirsi
pienamente responsabile del peso dei comportamenti quotidiani e iniziare a fare
dei piccoli sacrifici che potrebbero, con i loro effetti, contribuire a migliorare
le cose.
Ma
come si inizia a credere?
Il
report trimestrale di ESDN del gennaio 2019 affronta il tema della
comunicazione per lo sviluppo sostenibile e per gli SDG, riportando fra le
altre cose i risultati dei gruppi di lavoro riunitisi nel corso del 16° Workshop
del European Sustainable Development Network che si è svolto a Berlino
nel novembre 2018. I gruppi hanno prodotto diverse raccomandazioni per migliorare
e rendere più efficace la comunicazione degli obiettivi di sviluppo
sostenibile: conoscere il pubblico di destinazione; comunicazione positiva; buona
narrazione; collegamento e integrazione degli SDG nella vita di tutti i giorni;
risorse.
Gli
ultimi due punti sono di particolare interesse. È stato, infatti, evidenziato
che SDG e sviluppo sostenibile non sono ben collegati alla vita quotidiana
delle persone, né sono realmente in alcun tipo di media mainstream o interiorizzati
dalla maggior parte delle persone, il che significa che gli SDG rimangono
ostinatamente un argomento per le élite della società. Chi opera in questo
ambito lo sa bene. Nonostante nella nostra bolla Agenda 2030 sia ampiamente assimilata,
le persone in genere la conoscono superficialmente, molti non la conoscono
affatto, né conseguentemente associano i suoi obiettivi alla implementazione in
leggi dello Stato, ancor meno nella loro trasposizione nella vita di ogni
giorno. Interiorizzare significa portare
quegli elementi nella nostra coscienza, auspicando che diventi una coscienza
collettiva per cui ogni nostra azione è condizionata da una responsabilità.
Questo automatismo è più facile che si instauri se il condizionamento positivo
prende avvio sin dall’infanzia. Comunicare lo sviluppo sostenibile ai bambini
può diventare dirimente.
Con
riguardo alle risorse, i partecipanti ai gruppi ESDN hanno sottolineato che
esse sono indispensabili nel perseguimento degli obiettivi. Non diverso è l’obiettivo
della comunicazione: “For civil servants working on sustainable development
related topics and the SDGs, who made up the bulk of participants at the
Workshop, those resources were time, more people, and more expertise when it
comes to communication, as many civil servants are not communication experts”.
Questo
aspetto è di primaria rilevanza. La Pubblica Amministrazione, soprattutto
quella di livello locale, interagisce quotidianamente con cittadini e imprese
e, dunque, riveste o potrebbe assumere un ruolo cardine nel trasferimento della
consapevolezza e della conoscenza. La vicinanza alle persone consente di
innescare meccanismi positivi che, anche rapidamente, possono condurre alla modifica
sostanziale dei comportamenti individuali. Ma tale cambiamento ha la necessità
non solo di originarsi da una programmazione di politiche e di contenuti orientati alla sostenibilità, ma anche da una programmazione finanziaria che
tenga in considerazione tutti gli elementi che compongono l’architettura di una
policy di sostenibilità. Fra essi la comunicazione interna ed esterna, che non
può essere relegata ad attività marginale, ma deve al contrario essere ricondotta fra le azioni
principali del processo partecipativo e di condivisione delle strategie di una
Istituzione pubblica.
Comunicare
lo sviluppo sostenibile non può, infatti, limitarsi alla generica divulgazione.
Il raggiungimento degli obiettivi è strettamente collegato, ad esempio, alla
comprensione di quali sono i problemi di un territorio particolare (di
inquinamento, di inclusione, di accesso all’istruzione e così via) e di come
essi possono essere mitigati o risolti anche attraverso l’adozione di condotte
specifiche dei singoli. Esse, insieme, modificano la sensibilità (e la
coscienza) di una comunità e contribuiscono alla soluzione dei problemi di un
Paese.
La
comprensione dei problemi è connessa alla comunicazione.
Abbiamo
visto che secondo Foer le evidenze scientifiche non sono finora riuscite a
smuovere le nostre coscienze. Addirittura, la verità cristallina del
riscaldamento globale derivante dalle attività umane è messa in dubbio. La disinformazione
ne è responsabile, alimentata dalla nostra incapacità di “credere”, appunto. Eppure
i dati sono necessari, così come il perfezionamento delle rilevazioni e la
diffusione di statistiche sperimentali che restituiscono fotografie sempre più
precise dello stato delle cose a livello territoriale. Lo sforzo di rendere la
statistica fruibile, accessibile e di facile lettura è essenziale.
Gli
uffici stampa e comunicazione delle Pubbliche Amministrazioni a livello locale
sono pronti per operare in tal senso? La comunicazione della sostenibilità non ha
le stesse regole degli altri segmenti comunicativi ma, come per ognuno di essi,
non si può lasciare alla buon volontà o all’improvvisazione.
Rossella
Sobrero, nel suo libro “Sostenibilità competitività comunicazione. 20 idee per
il futuro” (2018), offre una panoramica molto efficace dello stato dell’arte di
questo tipo di comunicazione nella PA che, data la scarsità di risorse, deve
essere sempre più in grado di coinvolgere i cittadini, partendo naturalmente da
una programmazione strategica integrata con gli strumenti di pianificazione
ordinaria.
La questione delle risorse, però, resta e si dovrebbe certamente superare con riguardo alla funzione di comunicazione, assicurando adeguata formazione a chi se ne occupa, riconoscendone il ruolo, stabilendo il necessario collegamento con gli uffici di programmazione, definendo i budget. La presenza sui social media, spesso a costo zero, non è di per sé sufficiente a comunicare bene l’esigenza di una trasformazione epocale (per esempio nello stile di vita) e a rendere la cittadinanza informata, partecipe e proattiva.
La questione delle risorse, però, resta e si dovrebbe certamente superare con riguardo alla funzione di comunicazione, assicurando adeguata formazione a chi se ne occupa, riconoscendone il ruolo, stabilendo il necessario collegamento con gli uffici di programmazione, definendo i budget. La presenza sui social media, spesso a costo zero, non è di per sé sufficiente a comunicare bene l’esigenza di una trasformazione epocale (per esempio nello stile di vita) e a rendere la cittadinanza informata, partecipe e proattiva.
L’esperienza
italiana sulla comunicazione pubblica è fortunatamente all’avanguardia.
Iniziative spontanee come quella dell’Associazione nazionale PA Social stanno concorrendo
in modo decisivo ad una trasformazione radicale e positiva del rapporto fra
Pubblica Amministrazione e stakeholder. Si lavora anche sullo sviluppo
sostenibile, naturalmente, e ci si aspetta che l’incontro e il confronto
costante fra gli operatori della Comunicazione pubblica generi prospettive nuove
su questo tema che investe molti aspetti del servizio al cittadino e all’impresa
e non solo quelli ambientali.
Commenti
Posta un commento