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Il futuro non aspettò. Riflessioni sullo smart working


di Michele Silletti (@MicheleSilletti)

Quando si è nel mezzo di una tempesta, gli ottimisti cercano con lo sguardo la via d’uscita, gli altri si aggrappano per non essere spazzati via, magari anche guardandosi indietro, rimpiangendo la calma precedente.

Nel pieno del “lockdown” lo sguardo è ovviamente già sul dopo, su quello che l’emergenza Covid-19 avrà lasciato, sul come ripartire, sul cosa prendere di buono da questa esperienza vissuta. L’emergenza ha avuto un impatto inevitabile sulla vita quotidiana, spazzando via certezze e abitudini, costringendoci a modificare, nostro malgrado, stile di vita e quindi di lavoro.

In pochi giorni nazioni intere si sono dovute organizzare per svolgere le proprie attività in una modalità diversa. E’ inutile parlare di lavoro agile o smart working (o di smart schooling) e di arrotolarsi sulla definizione più corretta, forse, di telelavoro forzato; sembrerebbe un esercizio di stile su una situazione che tutti, auspichiamo, duri il minor tempo possibile soprattutto per gli impatti sanitari e sulla salute di tutti noi.

Quello che è successo in questi giorni, una sorta di grande esperimento di massa, ha dimostrato che ci sono le condizioni tecniche per cambiare radicalmente la nostra società e non su una valutazione teorica, sull’analisi di esperti o di più o meno lunghi (o larghi) tavoli di lavoro.

Arriverà il momento in cui decidere se il PC sul quale sto lavorando debba essere il mio PC personale o quello fornito dalla mia Azienda, e se quello su cui studio è il mio dispositivo  o il tablet fornito dalla Scuola. Saranno anche dettagli importanti, ma dettagli che verranno concordati nelle sedi opportune.

Oggi la riflessione è un’altra: il nostro modello sociale, la nostra vita quotidiana possono attuarsi perseguendo finalità di benessere individuale e comune in un modo diverso? La risposta mi sembra assolutamente affermativa. Abbiamo capito, in massa, che si può acquistare on line, si può leggere on line, si può lavorare ovunque, si può lavorare senza stampare, si può chiacchierare o fare riunioni con lo stesso strumento telematico, si può studiare on line e, in alcuni casi, anche fare un consulto o una diagnosi sanitaria. Abbiamo capito che si può fare! Passata l’emergenza, ma a dire il vero anche durante, dobbiamo sfruttare al meglio questo grande esperimento di massa e prenderci tutto il buono che l’emergenza ci ha costretti a fare.

Focalizzando il discorso sugli aspetti lavorativi, credo che l’esercizio di Smart Working condotto abbia evidenziato tantissimi spunti interessanti e riflessioni necessarie. Sicuramente l’aspetto che a prima vista poteva sembrare quello più importante - e probabilmente così è stato nei primi giorni di emergenza ma, immagino, anche nei primi momenti in cui un’organizzazione si ponga lo smart working tra gli obiettivi - è quello tecnico e strumentale. Credo che questo aspetto sia stato facilmente definito come “accessorio” o, per l’appunto, “strumentale”. Sicuramente gestibile. La tecnologia e gli strumenti di comunicazione hanno una diffusione tale da non aver causato uno stop completo della stragrande maggioranza delle attività lavorative o scolastiche. PC, Tablet, Smartphone, Connessione sono tutti elementi tecnologici significativamente diffusi. Tutto migliorabile, assolutamente. Anzi, sono anche emersi in maniera effettiva i limiti strutturali che il nostro Paese ha sul tema della banda larga, ad esempio. Ma strumenti e tecnologia non sono un problema. Non dobbiamo inventarci nulla.

Diverso, invece, l’impatto sull’organizzazione delle attività lavorative e professionali. Su questo, sicuramente, le aziende, le amministrazioni pubbliche e le scuole hanno tanto da fare e l’emergenza è servita a sbatterci in faccia una struttura sociale ed economica di tipo analogico. Forse, adesso, anche i conservatori più incalliti del metodo analogico si saranno resi conto che la digital transformation è una inevitabile e urgente evoluzione sociale. 

dal Report 2019 sullo Smart Working - Polimi
L’aspetto organizzativo, poi, è legato in maniera indissolubile al rapporto tra persone. D’altronde, una delle definizioni più interessanti e complete di “Smart Working”, che personalmente condivido, è quella indicata dall’Osservatorio del Politecnico di Milano che lo definisce come “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”. Quindi non una modalità lavorativa ma una filosofia basata su un patto, uno scambio di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore.

Questa valutazione porta a circoscrivere in maniera più netta, secondo me, le leve da attivare per rendere lo smart working, e tutto quello che ne consegue, una scelta comune e diffusa: rimodulare completamente le logiche organizzative, dai metodi di  responsabilizzazione dei collaboratori alla revisione del modello di leadership. E’ necessario tendere ad organizzazioni flessibili, orientate alla delega e responsabilizzazione delle persone sugli obiettivi. Investire su persone e innovazione.

Il risultato di tutto questo? Difficile fare stime o emulare modelli parzialmente già realizzati. Ci sono troppe variabili locali, culture, propensioni e fattori esterni alle organizzazioni stesse che incidono enormemente. Ma, riprendendo alcune valutazioni fatte proprio dall’Osservatorio sullo Smart Working del Polimi (invito a leggere il Report 2019) “l’adozione di un modello di Smart Working “maturo” può produrre un incremento di produttività pari a circa il 15% per lavoratore, che potrebbe significare 13,7 miliardi di euro (estendendo il modello a 5 milioni di persone, il 22% degli occupati)” oltre ad innumerevoli benefici a livello di sostenibilità e benessere singolo e collettivo.

Commenti

  1. Il Report del Politecnico di Milano mi pare a pagamento. Nel comunicato stampa/riassunto del rapporto 2019 non ho trovato traccia dell'aumento di produttività. Tantomeno di come sia stato calcolato e sotto quali condizioni.
    «l’adozione di un modello di Smart Working “maturo” può produrre un incremento di produttività pari a circa il 15% per lavoratore» mi ricorda "fino a 100 Giga al secondo!" dei collegamenti dati offerti, collegamenti che poi quando va bene girano a 1-2 Giga/s.
    Perché citare in un articolo un dato arbitrario? (che magari sarà valido in condizioni molto rare e molto particolari, come i 100 giga di velocità di collegamento)

    L'output del lavoratore in smart working non ha ancora uno storico sufficiente, suppongo che gli aumenti di produttività riguardino casi molto specifici o valutazioni espresse da imprese che lo stanno sperimentando, laddove le valutazioni servono a giustificare l'esperimento (nel mio ente il telelavoro è stato definito vantaggioso per l'ente - che paga attrezzature, canone internet e scrivania e sedia - senza alcun dato a corredo; che io sappia non è aumentata la produzione).
    Perciò l'aumento di produttività dovrebbe derivare da riduzione di costi per buono mensa (7 euro per giornata sw), di spazi e attrezzature (???).
    Ma la riduzione degli spazi ha tempi medi, cioè anni, soprattutto nelle camere di commercio che sono di solito proprietarie delle sedi di lavoro e che per ridurre il costo di queste dovrebbero metterle a frutto, affittando su un mercato che ora non pare particolarmente ricettivo.
    Quanto alle attrezzature, se non vogliamo che il recupero di costi avvenga a spese dei lavoratori, bisogna comunque investire in dispositivi (notebook) e tecnologia (VDI) e questo è oggi un aggravio di costo.
    E quanto costa riorganizzare le attività? Quanti vincoli sociali e territoriali limitano la libertà di azione? (Due anni fa provarono a chiudere una sede periferica del mio ente, a 20 km dalla sede principale e con tutte le attività digitalizzate. Sindaco in testa, si opposero le organizzazioni di categoria e siamo chiusi oggi perché in pandemia, ma riapriremo non appena possibile).
    Per favore, ragioniamo su cosa si PUO' fare, ma senza ideologismi (magari perché la start up nata sotto casa si occupa di piattaforme per lo smart working).

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    Risposte
    1. L'Osservatorio del Polimi sullo Smart Working mi sembra che sia attivo dal 2012 circa, quindi raccoglie casi, esperienze e dati già ben consolidati; nel report 2019, che può scaricare gratuitamente, previa registrazione, sono analizzati i risultati empirici dell'applicazione sia in aziende private che in pubbliche amministrazioni. Ci sono diversi casi in cui l'incremento della produttività, misurato quindi, e non stimato, è anche superiore al 15% (che è limite minimo della "stima" fatta, correttamente, in modo molto precauzionale). A mio parere, extra pandemia, ritengo che lo SW sia un processo e una evoluzione necessaria e inarrestabile. Fermo restando che comprendo, frequento e quindi conosco quel mondo che cerca di resistere ad ogni cambiamento per valutazioni molto, molto soggettive. Un mondo che cerchiamo di cambiare.

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