di Michele Silletti (@MicheleSilletti)
Chi lavora nell’ambito di una Pubblica Amministrazione ha il privilegio di osservare il rapporto tra Stato e Cittadino in un’ottica più ampia, può meglio comprendere la logica di “interesse collettivo” ma anche constatare i limiti od ostacoli che questo interesse può frapporre all’iniziativa individuale o al diritto del singolo.
I due interessi possono essere spesso contrapposti,
soprattutto in ordinamenti giuridici, come quello italiano, in cui la Pubblica
Amministrazione è soggetta ad un diritto speciale, quello “amministrativo” che
cerca di delineare i confini di una superiorità dell’interesse pubblico su
quello privato.
Gli ordinamenti giuridici, si sa, sono il frutto di accadimenti,
tradizioni, culture differenti. L’analisi di questi elementi è alquanto
affascinante, un insieme di storia, filosofia, dottrine di varia natura. Tutto
questo oggi viene messo in seria discussione da una variabile che sta
scompigliando un po’ tutte le discipline tradizionali, la digitalizzazione.
Negli ultimi 40 anni il rapporto tra Stato e Cittadini viene
discusso continuamente cercando di adeguarlo all’evoluzione dei tempi o di
risolvere le problematiche, incertezze, lentezze frequentemente lamentate dal
cittadino utente; si è cercato di coordinare le centinaia di norme in testi
unici, è diventata “materia” specifica di governo, con Agende di vario
contenuto e finalità. Nonostante il “diritto speciale”, il rapporto
Stato-Cittadino nel nostro paese sembra vivere un peggioramento continuo,
magari anche amplificato dalle percezioni derivanti dall’aver spesso
identificato nella Pubblica Amministrazione il male assoluto.
Era il 1979 quando fu presentato il famoso “Rapporto
Giannini” e sulla materia sono iniziati a fioccare continui, ripetuti
interventi legislativi finalizzati a risolvere il problema “burocrazia”.
Abbiamo vissuto gli interventi di Cassese, Bassanini proseguendo
ininterrottamente fino ai giorni nostri con la proliferazione di norme
finalizzate a semplificare altre norme, nel rispetto di un apparato statale
basato, come ha giustamente fatto notare Guido Melis, sul “pluralismo senza
ordine”.
Abbiamo usato, e spesso inflazionato, termini quali “semplificazione,
delegificazione, autocertificazioni, silenzio-assenso, devolution,
regionalizzazione, privatizzazione dei servizi pubblici e logiche di mercato,
europeizzazione, punti unici di contatto”. Un’ottima analisi è stata realizzata
qualche anno fa dalla Fondazione De Gasperi.
Ci tengo ad esprimere un parere, credo anche
significativamente supportato da anni di esperienza sul campo: il miglioramento
del dialogo e del funzionamento del rapporto Stato-Cittadino non è la soluzione
a tutti i mali ma riguarda, sicuramente, un ambito che attualmente risulta
essere uno dei freni maggiori allo sviluppo e all’iniziativa imprenditoriale.
Quindi riveste un’importanza secondo me fondamentale.
Tutti gli interventi relativi a questo ambito, incentrati
sulla semplificazione normativa e amministrativa, hanno apportato dei risultati
più o meno tangibili in tema di standardizzazione, certezza delle regole,
interlocutori e tempi, anche per garantire un principio costituzionale sancito
dall’art 118 della nostra Carta: la libertà nell’esplicazione delle attività di
interesse generale, il principio di sussidiarietà dello Stato. Ma non è l’obiettivo
di questa mia riflessione analizzare gli effetti di queste riforme; ci sono studi,
analisi, pareri di studiosi ed esperti della materia molto più competenti di
me.
Questa riflessione, invece, deriva dalla constatazione che,
come spesso accade, l’analisi di un fenomeno e delle possibili soluzioni o
interventi necessari a realizzare nuovi o diversi risultati, si focalizza
troppo sull’ordine delle cose esistenti e fatica, invece, ad individuare il
ruolo di fattori nuovi, inattesi o comunque inesistenti nella genesi storica
del fenomeno stesso.
In questo blog, invece, ci piace discutere con gli occhi
proiettati al futuro tentando anche di mettere in discussione “l’ordine delle
cose”.
Che si parli di “deamministrazione” o di “riduzione del
perimetro dei controlli” dello Stato, la percezione che la riforma della
macchina amministrativa finora abbia sempre e solo cercato di adattare gli
strumenti esistenti o snellire le funzioni esistenti senza accorgersi della
modifica (anzi, rivoluzione) dell’ordine delle cose è forte, molto forte.
La rivoluzione c’è stata, è tutt’ora in essere, e si chiama
digitalizzazione dei processi.
Pensare di riformare la macchina amministrativa senza la
reale ed oggettiva consapevolezza che i processi (e quindi anche gli obiettivi
delle funzioni amministrative dello Stato) siano strutturalmente cambiati,
sembra una rincorsa inutile a qualcosa che viaggia troppo più velocemente di
noi.
La digitalizzazione, in questo ambito, significa
informazioni già disponibili, in quantità enormemente più grandi rispetto al
passato, e con una disponibilità e facilità di accesso spesso impensabili.
Questo patrimonio non può che rivoluzionare il rapporto Stato-Cittadino e dare
effettività a principi che finora erano rimasti scritti sulla carta ma
irrealizzabili.
In un post di qualche mese fa scrivevo della traduzione
della semplificazione in un “evitare processi inutili, ridondanti, già eseguiti
da qualcun altro”.
Questa accezione vale per entrambe le parti del dialogo
amministrativo: Stato e Cittadino
La digitalizzazione, infatti, permette di dichiarare l’esistenza
delle condizioni minime per produrre un’istanza non chiedendo una verifica all’amministrazione
competente o “detentrice” della funzione o dell’informazione, e neanche,
evoluzione amministrativa alla mano, trasformando queste istanze in
comunicazioni da verificare o segnalazioni autocertificate (da controllare). La
digitalizzazione permette di acquisire e rendere disponibile, in ogni istante,
l’informazione che ci serve o che stiamo cercando.
Controllare il mio titolo di studio, magari condizione
essenziale per svolgere un’attività professionale o imprenditoriale, non
dovrebbe più significare “dichiarare, autocertificare”, per me soggetto
interessato, e neanche “controllare” per l’Amministrazione alla quale mi
rivolgo. Il mio titolo di studio è una informazione presente in un archivio che
è il patrimonio informativo della Pubblica Amministrazione. C’è, punto! E’ nel
mio profilo di “cittadino digitale”, accessibile a chiunque abbia titolo ad
effettuare un controllo del genere, in forza di una norma di legge, di un
potere di controllo.
Partendo dalla digitalizzazione dell’informazione credo che
tutte le funzioni amministrative oggi potrebbero e dovrebbero essere riscritte.
E non credo alla facile ed automatica “contestazione” a
questo principio che spesso viene fatta: la Pubblica Amministrazione non è pronta,
non ci sono o non ha gli strumenti. Ritengo che questo non corrisponda alla
realtà dei fatti. Prova ne è il fatto che in alcuni ambiti “utili” allo Stato,
ad esempio l’esercizio della propria funzione impositiva, la digitalizzazione e
la facilità di accesso alle informazioni ha raggiunto livelli elevatissimi.
L’auspicio è, quindi, che il patrimonio informativo pubblico
sia reso disponibile, digitalmente disponibile a chi ne abbia titolo (al
diretto interessato e alle amministrazioni con potere di controllo) e fruibile
a tutti relativamente alle informazioni “pubbliche”, aperte, non personali,
statistiche: su questa base parlare di Big Data, Intelligenza Artificiale e
Blockchain avrebbe tutto un altro senso. Un altro ordine delle cose.
Commenti
Posta un commento