di Michele Silletti (@MicheleSilletti)
Qualche anno fa Ann Winblad, la donna che ha costruito la
Silicon Valley, una leggenda vivente nell'ecosistema delle startup dell’Information
Technology, ritenuta una delle persone più influenti al mondo in questo settore,
alla domanda di una giornalista su quale sarebbe stata la prossima grande
innovazione ha risposto affermando che “data is the new oil”.
I dati, l’informazione come materia prima, bene dal valore
assoluto.
Questa affermazione viene continuamente riproposta, sia che
si parli dell’aspetto tecnologico, della digitalizzazione dei processi o dell’utilizzo
dei dati tramite sistemi di intelligenza artificiale, o addirittura allargandoci
a considerazioni economiche o politiche, la conoscenza dei dati, delle informazioni
è un patrimonio enorme.
La percezione del valore di questa nuova forma di ricchezza
tra gli studiosi è un dato di fatto da diversi decenni, potremmo dire
addirittura dal secolo scorso. Ma negli ultimi anni questa percezione si è
consolidata anche tra le persone comuni, irrompendo nella cronaca con lo scandalo
di Cambridge Analytica.
Eppure Winblad ha più volte affermato, anche recentemente, che
abbiamo ancora molta strada da fare prima di comprendere appieno il potere dei dati e il valore che le aziende
saranno in grado di ottenere dalla loro analisi e gestione.
Un’altra sua massima molto efficace sulla capacità
dell’analisi dei dati, col suo tipico pragmatismo anglosassone, va a
sconfessare un obiettivo che questa scienza si è sempre posto, quella della
previsione e delle capacità predittive: "Il nostro lavoro non è predire il futuro ma è trovare il futuro".
Le finalità predittive dell’analisi dei dati possono essere
più o meno efficaci, a seconda della tipologia di scienza coinvolta, dell’accuratezza
dei modelli realizzati, dalle capacità di calcolo. Ma a prescindere da questi
aspetti, sicuramente l’analisi dei dati è uno strumento ormai insostituibile
nella gestione e nell’evoluzione di qualunque attività.
Se appare, quindi, estremamente conclamato il valore del
dato percepito da studiosi, esperti di settore e popolazione comune, quello che
succede quotidianamente nel mondo, e nella realtà aziendale, sembra andare a
confermare quanto detto da Ann Winblad: secondo un recente studio di Forrester, una quantità stimabile tra il
60-73 per cento di tutti i dati di un'azienda non viene utilizzato per l'analisi!
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Il valore del dato
è strettamente correlato a quel fenomeno in atto chiamato trasformazione digitale. Anche “digital transformation” è un
termine molto in voga negli ultimi anni, tutti ne parlano, ma le azioni poste
in essere per realizzarla sono spesso incerte. La sensazione palpabile e
diffusa è che la trasformazione digitale sia un fenomeno subito dalla
stragrande maggioranza di imprese e organizzazioni.
Trasformazione digitale significa cambiare strutturalmente l’approccio alla propria attività,
partendo proprio dal modo in cui i dati vengono sfruttati. Questo non significa
solo analisi dei dati, modelli statistici, controllo di gestione, marketing,
dinamiche comportamentali dei clienti, comunicazione, strategie aziendali, o
meglio significa tutto questo insieme.
Sfruttare la ricchezza del dato significa correlare le
informazioni alla crescita del business; non è accettabile, perché non
conveniente, quindi, disperdere i due terzi circa della ricchezza presente in azienda. Trasformazione
digitale e dati sono, quindi, il processo di sfruttamento di questa ricchezza
massimizzando il fattore economico più importante: il tempo!
Ciò che rende un'azienda competitiva ed efficace per i suoi stakeholder
è la rapidità con cui può orientare le proprie scelte e la propria gestione. La
velocità con cui le aziende operano è aumentata esponenzialmente proprio in
funzione della quantità di informazioni disponibili in tempo reale e la
capacità di adottare decisioni conseguenti sono fondamentali.
Immaginiamo cosa significa poter produrre quello che il
mercato richiede, in tempo reale.
Questo processo può sembrare teorico, distante da noi, a meno
che non pensiamo, giusto per fare l’esempio più facile in questo momento
storico, ad Amazon e al commercio elettronico in genere: il processo decisionale del consumatore viene
accelerato, diventa immediato rispetto al suo comportamento, alle sue azioni
svolte su un browser: cerco un posto e, a prescindere dal motivo che sta alla
base della mia ricerca, ho l’opportunità di organizzare un viaggio, spostarmi,
cercare un alloggio e un posto dove cenare, avere l’elenco delle cose da fare,
delle attrattive da visitare. Oppure cerco l’autore di un libro, una massima, una
frase e nel giro dei “famosi” tre click ho ordinato quel libro. Il viaggio, il
libro, potrebbero concretizzarsi in 48 o 96 ore, poco importa. Chi studia il
comportamento d’acquisto sa che il bisogno si è manifestato e si è soddisfatto
in un momento che precede, anche, la disponibilità fisica del bene.
Quindi valore del dato, trasformazione digitale e tempo non
sono, affatto, concetti teorici. Sono le nostre azioni concrete quotidiane.
Pertanto, i dati sono la forza trainante di qualsiasi
trasformazione digitale ed è per questo che le imprese stanno investendo
enormemente in strutture e cercano disperatamente menti in grado di intuire
valori, finalità, utilizzi dei dati.
Piaccia o meno, ogni innovazione, ogni metodo, ogni pratica
che si affaccia sul mercato guadagna velocemente un nome di battesimo: questa
filosofia operativa fatta dall’integrazione dei dati e pratiche di gestione
altamente tecnologiche viene definito 'DataOps', una strategia che
migliora la comunicazione, l'integrazione, l'automazione e l'utilizzo dei dati all’interno
di una organizzazione basata su velocità e precisione delle analisi per il
miglioramento della produttività.
Se qualcuno pensava che fiuto e intuito dell’imprenditore
sarebbero bastati per sempre, starà probabilmente svanendo, incredulo, osservando
qualcosa che fatica a comprendere, la rivoluzione digitale.
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