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Digital Transformation & (open)data


di Michele Silletti (@MicheleSilletti)

Di digitalizzazione dei processi e dei dati se ne parla ormai continuamente e più volte, anche in questo blog, abbiamo affrontato le particolarità della digitalizzazione del patrimonio informativo pubblico.
È vero però che la “digital transformation” è un processo in atto da diversi decenni, una evoluzione guidata dalla tecnologia e, nel mondo pubblico, da finalità varie che vanno dalla disponibilità e accessibilità dell’informazione, allo svolgimento di compiti istituzionali, al controllo e, genericamente, al funzionamento della macchina amministrativa dello Stato.

I due mondi pubblico-privato, che probabilmente sono meno contrapposti di quanto si è abituati a pensare, stanno perseguendo entrambi un tornaconto di tipo economico: digitalizzare crea valore e riduce o elimina processi manuali, lunghi e costosi. La digitalizzazione, infatti, crea informazioni, crea valore; ho scritto qualche settimana fa del “valore del dato e la trasformazione digitale".

In questi giorni è stato pubblicato un aggiornamento sullo stato di avanzamento del progetto di realizzazione dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), che ha appena raggiunto quota 22 milioni di anagrafiche digitalizzate.

Il richiamo di questa notizia all’affermazione “data is the new oil” è stato automatico così come il successivo collegamento alla tematica degli “open data”. Infatti il passaggio dalla “trasformazione digitale” all’accessibilità dei dati (open data) è breve, brevissimo.

Personalmente, però, ho una concezione un po’ diversa da quella comunemente associata agli open-data: penso, infatti, che il valore del dato non sia nell’essere “open” in quanto tale ma nell’essere utile e utilizzabile. Spesso gli open-data sono stati visti e presi come misura dell’open-government. Avere libero e facile accesso al dato (all’informazione pubblica) è sicuramente un aspetto fondamentale e sinonimo di democrazia e trasparenza della macchina pubblica. Di conseguenza c’è stata una corsa delle Amministrazioni al dimostrarsi “aperte” in virtù del numero di “set” di dati aperti messi a disposizione del pubblico e non in base all'utilità, alla richiesta e alla possibilità di utilizzo o riutilizzo. Ripeto, pubblicare open-data è un aspetto positivo, positivissimo per tutti i motivi già citati, ma vorrei fare e vedere un passo, o diversi passi, in più, in avanti.

Ne abbiamo parlato spesso in questo blog, il patrimonio informativo della PA è una miniera d’oro, un insieme di dati che, ben utilizzati, potrebbero avere effetti inimmaginabili sul funzionamento della “macchina amministrativa” e quindi sul benessere della collettività, sulla produttività, sulle funzioni di controllo e garanzia dei servizi pubblici.

La mia personale concezione di “open-data” va in direzione opposta rispetto al tradurre “open” in un senso esclusivamente economico: open non è gratis, soprattutto in considerazione dell’enorme costo di gestione e del valore facilmente attribuibile alle informazioni. E open non è, neanche, solo riferito alla possibilità di accesso, di disponibilità. E’ un insieme di tutto questo ma, soprattutto, è utilità e utilizzabilità, facile, immediata.

La realizzazione dell’anagrafe digitale della popolazione ritengo che sia, tra le azioni previste dal Piano Triennale per l’informatica nella PA, quella con un impatto maggiore. Senza nulla togliere all’identità digitale (SPID), alla semplificazione, all’individuazione dei Responsabili per la Transizione al digitale, al risolvere o ridurre il digital divide territoriale, alla concentrazione dei dati pubblici su datacenter affidabili e sicuri, e a nessun’altra delle azioni previste, credo che la digitalizzazione dell’ANPR sia “la” trasformazione digitale.

Tralascio, volutamente, tutti i benefici che questo strumento apporterà alla gestione funzionale delle anagrafi comunali per concentrarmi su un aspetto di utilità più trasversale. Cosa succederà avendo questo enorme patrimonio informativo a disposizione? Succederà, e auspico che l’evoluzione prevista arrivi il più velocemente possibile a questo stadio, che migliaia di banche dati pubbliche potranno (e inizialmente dovranno) dialogare e interfacciarsi con un sistema centralizzato in grado, finalmente, di certificare in tempo reale la qualità e l’origine del dato sulle persone.

Un valore paragonabile a questa banca dati, ma numericamente più ridotta, è quello del Registro (informatico) delle Imprese. In questo caso la qualifica di registro informatico è quasi superflua, scontata, in quanto l’anagrafe delle imprese è nata digitale, da oltre venti anni, per volere del nostro legislatore. Una banca dati che conosco in maniera approfondita per questioni lavorative, una miniera di dati spesso sottoutilizzata anche per una scarsa diffusione della conoscenza del suo reale contenuto.

L’ANPR però avrà un valore e una frequenza di utilizzo sicuramente più estesi per le migliaia di banche dati pubbliche formate sui dati relativi a persone. Banche dati che oggi duplicano, riscrivono, ri-digitalizzano queste informazioni altrettante migliaia di volte, con enormi costi di data-entry, di controllo, di conservazione e aggiornamento che direttamente o indirettamente gravano sulla finanza pubblica.


https://stato-migrazione.anpr.it/
E se in questi giorni sono stati superati i 22 milioni di abitanti digitalizzati (circa un terzo della popolazione residente) e i 2000 comuni (un quarto circa del totale), le previsioni a breve termine individuano un risultato di 44 milioni di anagrafiche nei prossimi 12 mesi (fonte https://stato-migrazione.anpr.it/)


Altra rivoluzione: consentirà la realizzazione del Censimento Permanente, il riconoscimento dell’Identità e del domicilio Digitale del cittadino, completerà il Fascicolo Sanitario Elettronico, fornirà al mondo scientifico la possibilità di misurare ogni dinamica, ogni effetto derivante dagli interventi delle amministrazioni. Un valore economicamente inestimabile che sarebbe veramente interessante da quantificare per dare un’idea della portata della Digital Transformation. Forse questa quantificazione potrebbe far rendere conto a tutti dell’importanza dell’investimento in processi e, soprattutto, in persone e professionalità in grado di governare tale ricchezza.

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