di Michele Silletti ( @MicheleSilletti ) Nel mio ruolo di osservatore, prima che di operatore, del mondo dei servizi, ci sono momenti in cui si realizza che la via del progresso, che mi ostino a pensare sia una, vera, trasformazione digitale, sia stata imboccata per il verso sbagliato. E non è un problema di metodi, di strumenti, di tempi. No, il problema è di "persone", abituate a immaginare che il progresso sia un leggero, lieve adeguamento della situazione attuale in un'ottica di mantenimento del proprio comfort personale. Il progresso è invece rivoluzione, è il rischio o speranza di trasformare sostanzialmente, è guardare con occhi nuovi. Il fallimento della via intrapresa è oggi sotto gli occhi di tutti con la situazione della Scuola, ma non solo. In piena pandemia ci siamo ritrovati difronte ad una situazione non prevista che ha messo con le spalle al muro un mondo intero e tutte le scelte leggere, inconsistenti, avverse al vero progresso. Un fallimento dimostrato
di Francesca Sanesi Durante la pandemia, per un numero impressionante di lavoratrici e lavoratori è stata attivata una forma di lavoro agile che consentisse di proseguire la prestazione, pur dovendo permanere presso la propria abitazione. La percezione di questa esperienza è diversa da persona a persona. Per alcuni, dopo i primi momenti di smarrimento, essa si è trasformata in una straordinaria possibilità di crescita e sperimentazione; per altri, invece, la lontananza dal luogo di lavoro e le difficoltà di gestione degli impegni sono diventati insuperabili ostacoli. Certo, il coronavirus ci ha fatti trovare in una situazione mai vissuta prima, per molti versi non immediatamente concepibile, soprattutto sul piano umano e per il carico di dolore e morte che ha portato con sé. Non è semplice, quindi, scriverne come generatrice di opportunità, senza prima rendere il giusto tributo a chi ci ha lasciato e a quanti non hanno esitato ad aiutare, anche a rischio della propria vita.